-Potresti anche portarmi dei fiori, ogni tanto.
Io la butto lì, ma lo so che non mi stai ascoltando. In silenzio,
mentre finisce il Tg, tu finisci il tuo piatto di insalata.
Nerone si struscia contro una sedia, attorciglia la coda attorno alla
tua gamba.
-Ti sei ricordato di dargli da mangiare?
Sospiri. Scosti la sedia e ti alzi. Raccogli i tuoi piatti sporchi. Poi
le posate. Il fazzoletto e il bicchiere. Per ultimo togli il piatto ancora
pulito che avevi messo per me. Che poi, dopo tre anni e mezzo, dovresti pure
saperlo che non mangio l'insalata...
Vai verso il lavandino. Nerone ti viene dietro silenzioso, mentre le
tue ciabatte strisciano sul pavimento.
Il rumore dell'acqua corrente si mischia alla sigla del Meteo.
Sono passate due settimane e ancora non mi parli. Due settimane.
Nemmeno una parola.
-Dovremmo fare pace- insisto. -E dovresti portarmi dei fiori!
Il semaforo diventa verde. Non sei neanche partito che già metti la
seconda. E il cambio gratta. Te l'ho detto di farlo sistemare. È da mesi che
gratta. Ma tanto quando ti dico le cose non mi ascolti mai... È per questo che abbiamo cominciato a litigare, l'altro giorno? Non
me lo ricordo neanche più. Però mi ricordo che l'ultima parola che mi hai detto
è stata Stronza. Due settimane fa.
Dall'altra parte del finestrino scorrono le traverse del nostro vecchio
quartiere. Il cielo è grigio, i muri anche. Tu non stacchi gli occhi dalla
strada. Svolti a destra. Poi a sinistra. Alla fine imbocchi via vespri, la
strada del mio vecchio ufficio. Anche se non devi più accompagnarmici, ti è
rimasta l'abitudine di passare qua davanti...
Intanto lo stereo è passato alla traccia numero 4. Quasi senza badarci
lo riporti alla traccia numero 3. Di nuovo. Di solito lo faccio io. È la mia
canzone preferita. Tu lo sai, la rimetti, ma non mi parli.
Un altro semaforo rosso. I freni stridono. Il cambio gratta. Ti appoggi
al volante sbuffando mentre il marocchino di turno è già accanto alla macchina,
con un sorriso in faccia e un mazzo di rose in mano.
-Mi piacciono, le rose.
Tu fai cenno di No al marocchino. Il semaforo è verde.
Oh, io c'ho provato.
Cammini da più di venti minuti, e io dietro, in silenzio, ché tanto non
mi rispondi. Potrei pensare che ti sei perso, ma lo so che non è così. Ogni
volta la stessa storia. Ogni volta il giro lungo. Che ti cambia poi, non lo so.
Se non ti va, non venirci. Mica ti obbligo. Tanto nemmeno mi parli...
Una folata di vento gelido ti scompiglia i capelli, ti gonfia il
cappotto, ti frusta sulle spalle la sciarpa bianca che ti ho regalato a Natale.
Assieme al freddo, il vento porta odore di fiori. Ce ne sono tanti qui attorno.
-Dei fiori sarebbero un buon modo per fare la pace.
Acceleri il passo.
Il vento ora è più forte, il cielo più scuro. Da qualche parte arriva
l'eco di un tuono.
Ti fermi. E finalmente mi guardi.
Guardi i miei occhi marroni, socchiusi nel mio sorriso della sera di
Capodanno, quand'eravamo dai tuoi. È una bella foto, anche se io avrei scelto
quella dove ho il maglione rosso. Quella che mi hai scattato a Firenze.
La pioggia comincia a ticchettare sul marmo. Fra poco pioverà sul
serio. Tu resti lì, a guardare la mia foto. Forse stai piangendo. Forse è solo
la pioggia.
Un altro tuono. Alzi gli occhi al cielo. Li riabbassi sui miei, e nel
farlo ti mordi il labbro. Ti mordi sempre il labbro quando vuoi chiedere scusa.
Solo che poi non lo fai mai.
E infatti ti volti e vai verso l'uscita. Io ti sono dietro, come ogni
giorno. Intanto lancio un ultimo sguardo alla mia tomba. Sotto la mia foto ci
sono solo un cero spento, un vecchio rosario e la data di due settimane fa.
-Eh già...- mormoro. -Dovresti proprio portarmi dei fiori.
Che bello! Sei riuscito a farmi emozionare con poche righe.
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