Ormai non
provo neanche più a guardarmi allo specchio. È inutile. Non posso costringermi
a farmi piacere quello che sono diventato. E soprattutto non posso farci
niente. È da più di tre mesi, ormai, che vado avanti così.
Prima pensavo
di poterlo superare. Un problema come un altro, mi dicevo. Ora so che non è
così. Giorno dopo giorno mi rendo conto che non posso uscirne. Prima di
addormentarmi faccio sempre la stessa promessa a me stesso. Prometto che non ci
ricadrò. Prometto che stavolta ne sono fuori. Prometto che da domani si cambia.
Poi mi sveglio e scopro che è ancora oggi e che domani deve ancora venire. E ci
ricasco. Questa è l’ultima volta, continuo a ripetermi.
Oggi però mi
sento diverso. Mi è già successo di sentirmi così, ma stavolta potrebbe anche
essere la volta buona. Ho già deciso: stasera non si beve.No, non è la
prima volta che lo decido.Comunque
esco. Il vento è freddo, tanto che sembra tagliarmi la pelle a ogni alito. Il
cielo è nero, senza stelle. O forse ci sono. Io però non ne vedo. Sarà colpa
dei lampioni…
Cammino a
passo svelto, risalendo il viale dei negozi che a quest’ora sono già chiusi.
Qualcuno passa e mi guarda storto, ma non è certo una novità. Forse è perché ho
addosso solo una giacca leggera, e il vento stasera è davvero gelido. Non
importa. Non sono proprio un tipo che soffre il freddo.
Mi guardo un
po’ intorno e annuso l’aria. Sento un odore familiare. Mi volto e vedo una
morettina uscire da un pub affollato. Lei mi lancia un’occhiata obliqua. Io
rispondo con lo stesso sguardo. Lei prosegue per la sua strada e io rimango a
fissare il pub e le sagome dietro i vetri scuri.Sento già la sete seccarmi la gola.
Sarebbe così facile entrare e… No. Stasera non si beve. Stasera No.
Giro i tacchi
e vado verso la stazione. Non dovrei. Lì è facile trovare da bere, trovarsi un
vicolo buio dove nessuno rompe. Ci vado lo stesso. Girovagare vicino la
stazione mi piaceva anche prima. Prima di avere sempre voglia di bere. Prima di
cominciare a uscire di notte e a dormire di giorno. Prima di cambiare.
Di sfuggita
vedo una coppia salire su un taxi. C’è anche un bambino con loro. È strano come
finisca sempre per pensare ai miei genitori durante la notte. Non li vedo da
quando è successo.
Meglio così. Loro
non capirebbero. Non capisco nemmeno io cosa succede dentro di me, a volte.
Guardo i muri
della stazione. Sono grigi. È tutto grigio stasera.
Mi gira la
testa. O forse è solo noia. Ma ho voglia di bere. Dopo che bevi sembra tutto
migliore. Più divertente, più vivo. Quando bevo sento molto meglio il mio
corpo, e con lui anche quello che c’è attorno. Stasera non sento niente. La
vista è offuscata. Non sento neanche più il vento sulla pelle. E poi non sento
il mio cuore battere.
Se bevessi
sarebbe diverso. Basterebbe qualche sorso. Qualche sorso e sarei felice, in
pace. Ma stasera non si beve. L’ho promesso.
Ma a chi,
poi?
Mi gira
ancora la testa. Mi appoggio a uno dei tanti muri grigi della stazione. Non è
poi tanto bello come posto. La ricordavo più colorata. Strano, però. Mi piaceva
la stazione. Ora no. Almeno non se non bevo.
Mi avvio,
forse verso casa. Fa tutto schifo. Fa freddo. Fa freddo e schifo. La cosa
peggiore è che so che basterebbe poco per farmi stare meglio. Giusto un sorso.
Sento il
rumore di un paio di tacchi dietro di me. Mi giro. C’è la moretta di prima,
quella uscita da quel pub. Ha una bottiglia di vodka in mano e, a giudicare
dalla sua andatura, ne ha già bevuta un bel po’.Appena mi vede, la morettina si ferma
a guardarmi. «Vuoi un sorso?» mi dice, e dondola la bottiglia.
La guardo per
un attimo. È carina. Non proprio bella ma carina. Ha un cappotto rosso che le
scende fino alle ginocchia e un berretto di lana bianca intonato ai guanti. Non
ha la sciarpa. Ha il collo affusolato, pallido per il freddo. Si vede qualche
vena bluastra sotto la pelle chiara.
Mi piacciono
le ragazze che non mettono la sciarpa.
«Volentieri»
sussurro, e subito mi sento in colpa. Questa
è l’ultima volta, continuo a ripetermi.
«Vieni.
Mettiamoci comodi» dice la morettina. Imbocca una via laterale. Le vado dietro
e la trovo seduta su una gradinata. «Dai, bevi» mi dice.
Non voglio
farlo. Mentre mi siedo penso già a come mi sentirò dopo, a quanto mi farà stare
male. Ma intanto sento una voglia dentro che mi trascina e non oppongo resistenza.
Sono seduto
accanto alla moretta. Non la guardo neanche negli occhi e la bacio. Lei mi
lascia fare. Dalla bocca mi sposto lentamente al collo.Ha un buon
sapore.
Qualcosa mi
dice di non farlo, ma è qualcosa di troppo debole e confuso per fermarmi. Solo
il ricordo di quella che era una coscienza.
Non so
fermarmi, e non so se lo voglio. So solo che ora voglio bere.
Comincio a
succhiarle il collo e il corpo comincia ad agire da solo. Questa è l’ultima
volta, continuo a ripetermi.
Finalmente
bevo, e ne gusto tutto il sapore. Caldo. Denso. E mentre i miei canini si
conficcano sempre di più nel collo della morettina, sento il suo sangue
scivolarmi nella gola e sulle mani. E sento la sua paura vibrare, mentre il suo
corpo si muove sotto il mio. E sento le sue urla mischiarsi al mio ansimare,
mentre la voce le muore in gola. E sento il suo cuore rallentare il ritmo,
mentre il mio batte all’impazzata.
Questa è l’ultima
volta, continuo a mentirmi.
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